Tuesday 25 September 2012

Fenomenologia di Marchionne

Personaggio sempre intrigante questo Marchionne. Per un paio d'anni ci ha rintronato con la retorica sulla modernità, lui ci metteva la faccia, voleva investire - addirittura! - 20 miliardi, non chiedeva aiuti di Stato, voleva solo che i lavoratori rinunciassero ad un po' di diritti per riempire le tasche degli azionisti FIAT.
E va beh, dici, il classico manager americano, uno sfruttatore ma porta un po' di sano (mica tanto) liberismo. Sbagliato: la FIAT ai tempi di Marchionne prendeva soldi dallo Stato in Polonia, in Serbia ed in Brasile, altro che uomo del mercato. Non parliamo della baraccata di soldi presi in USA, vantandosi poi di aver rimesso in piedi Chrysler - sì, coi soldi di Obama. Ed ora, quando il piano da 20 miliardi si è sciolto come neve al sole, ecco il Marchionne che batte cassa: "l'auto funziona dove ci sono aiuti di Stato". A parte il fatto che non è vero - basta guardare la Germania - eccolo qua il manager moderno: non è capace di competere ed allora ciuccia i soldi dello Stato, cioè dei contribuenti - categoria, è giusto ricordarlo, a cui Marchionne non appartiene, pagando le tasse (poche) in Svizzera.
Il nostro però non si accontenta di chiedere soldi, dispensa anche perle di saggezza mischiate ad avvertimenti in stile mafioso. FIAT rimarrà in Italia ma solo se il paese si modernizza, e cosa questo voglia dire per Marchionne lo sappiamo già: più sfruttamento del lavoro. E comunque in 5 ore di colloquio Monti non è riuscito a strappare una garanzia che sia una, dimostrando per altro di quale modesta caratura stiamo parlando.
Ma il problema di fondo di Marchionne lo avevamo già identificato due anni fa: questo signore non è un industriale, non è neanche un manager, è un finanziere e di conseguenza si comporta. Antropologicamente non ha la capacità di comprendere cosa sia la produzione di merci. Non ha la minima idea di cosa voglia dire fare industria di cosa siano i saperi costruiti nel corso di decenni, di cosa sia il capitale umano. Pensa infatti che i lavoratori siano solo merce da spremere e poi buttare. Per lui il capitale è liquido e si muove, non può capire le lentezze strutturali dell'industria. Il denaro non ha storia, l'impresa si.
Economicamente non è in grado di comportarsi da industriale. Il capitalismo di Schumpeter era, è, quello della distruzione innovatrice, ogni crisi porta ad un rinnovamento e l'industria è come un'Araba Fenice che risorge dalle sue ceneri. E dunque i veri capitalisti investono in innovazione anche e soprattutto nei momenti di crisi, ed infatti Volkswagen e la maggior parte delle altre case automobilistiche in questi anni hanno investito in nuovi modelli anche col mercato dell'auto in caduta libera. Marchionne no, e lo rivendica: non si investe quando il mercato non tira. Ma questo è vero per un finanziere che blocca tutti gli investimenti finchè il mercato è in discesa, e compra solo quando il trend cambia. Come un trader di borsa, l'orizzonte temporale di Marchionne dura lo spazio di un mattino. Ottimo per tenere i conti in ordine, nel breve periodo. Ma con nessuna possibilità di rilanciare una impresa che ha bisogno come il pane di investimenti e progettualità.

Wednesday 19 September 2012

Democrazia ed Economia - 3: le leggi del mercato

In questo caso non sono leggi teoriche, ma vere e proprie normative. Succede in Honduras, posto perfetto per l'ennesimo esperimento social-economico del capitalismo. L'idea è della MKG, una società immobiliare americana che costruirà una città sulle coste del Pacifico, in Honduras. Ma non farà parte dell'Honduras. Non a tutti gli effetti almeno. Non varranno le leggi civili dello Stato centroamericano - quelle penali, almeno inizialmente si, poi più tardi chissà, magari si potrà depenalizzare la schiavitù. Sarà il Consiglio di Amministrazione a stabilire le leggi che regolano i rapporti civili - tipo livello di tasse, garanzie sindacali, orario di lavoro, ordine pubblico (che so, vietiamo la sciopero e le manifestazioni!) e via dicendo.
Si tratta, bisogna ammetterlo, di una idea brillante. A fare lobby si perde troppo tempo e poi trovi sempre qualche populista che ti pianta delle grane. Se invece le leggi te le fai da te, risparmi tempo, denaro, e sei sicuro del risultato.
Non si sa come mai non ci abbia pensato per primo il nostro Marchionne, che avrebbe potuto chiedere di privatizzare Torino. Magari avrebbe lasciato sindaco Chiamparino che non rompeva poi troppo ma si sarebbe pure potuto accontentare di Fassino.
In fondo il risultato non sarebbe molto diverso, si cambiano le leggi ed i diritti in base ai bisogni del padrone di turno che in cambio promette (e chissà, qualcuno manterrà pure) lavoro e paga per tutti, o quasi. Qui il problema lo si risolve a monte, facendosi direttamente le leggi ed esautorando Stato e Parlamento - una conseguenza logica di quasi quarant'anni di liberismo. Ci hanno detto che il mercato funziona e lo Stato no. Ed allora dello Stato che ce ne facciamo? Qui si tratta di soldi, investimenti, posti di lavoro, sarà meglio lasciar fare a chi ci sa fare. E gli investitori vogliono profitti, mica gente che chiede servizi pubblici o rispetto dell'ambiente. Ogni cosa, in fondo, ha un suo prezzo.

Monday 17 September 2012

FIOM esclusa

La vicenda FIAT si potrebbe definire una farsa se non finisse per pesare, come sempre, sulla pelle di migliaia di lavoratori che rischiano (eufemismo) di restare a casa mentre Marchionne ingrassa i suoi profitti da evasore in Svizzera.
Ma che Marchionne fosse il classico personaggio da operetta tutta italiana (altro che manager apolide che vive sui 2 lati dell'Atlantico) lo si era capito da un pezzo. Da quando cercò (e riuscì) a far pagare il peso della sua incapacità di manager ai lavoratori. Da quando in piena crisi, invece di innovare, come i suoi concorrenti, decise di non lanciare nuovi prodotti, preferendo pagare dividendi che venivano da operazione finanziarie invece che industriali. Da quando svendette il patrimonio di know-how e di tecnologia della FIAT alla Chrysler - e ci domandiamo perchè gli americani fossero contenti?? Da quando davanti alla sua incapacità di competere sul mercato dell'auto pensò bene di dar la colpa ai concorrenti - leggi Volkswagen - che avevano il torto di far profitti.
Gli unici a fingere di non averlo capito furono politicanti e sindacalisti venduti. Quelli che "fossi un operaio voterei per il piano Marchionne senza se e senza ma" (Renzi, Fassino, Chiamparino, quello che ora è andato a dirigere una fondazione bancaria che fa capo ai principali finanziatori di FIAT, il gruppo San Paolo); quelli che "il diritto cui teniamo è quello al lavoro" (Bonanni e Angeletti), anche se ora non ci sono diritti e non c'è lavoro; e quelli che "il problema dell'industria italiana è il costo del lavoro" (Monti, Fornero ma non dimentichiamoci dell'eterno Ichino, uno che è diventato parlamentare grazie ai studi che di scientifico non hanno nulla e di cialtronesco molto, se non tutto). Ecco, la debacle dell'industria italiani ha molti padri, ma certo non la FIOM.
Certo non la FIOM che, sola, villipensa, insultata, derisa, si schierò contro il piano Marchionne. Non capivano, questi sindacalisti, come cambiavano le relazioni industriali del futuro, guardavano ancora al Novecento, forse addirittura più indietro. Beata ignoranza. I soloni che alternavano giudizi sprezzanti a fuorbite analisi sul futuro dell'industria dovrebbero forse andare a lezioni di politica industriale da uno che di industria se ne intende, tal Cesare Romiti che accusa senza mezzi termini Marchionne ma fa notare che non si possono scaricare tutte le colpe su di lui. Dov'era, si domanda Romiti, il sindacato: "Il principale colpevole è il sindacato assente, Fiom esclusa".
Eh già, perchè anche se appare Novecentesco, il compito del sindacato non è di far da servo al padrone - per quello bastano già i politici venduti. No, il compito del sindacato sarebbe quello di controllare le scelte padronali, di guardare i piani industriali, di proporre alternative. Quello che ha fatto la FIOM. Cui forse, ora, sarebbe doveroso rivolgere delle scuse. 

Wednesday 12 September 2012

Democrazia ed economia - 2: la trappola di Draghi

La mossa della BCE di comprare titoli di debito sul mercato è un passo nella giusta direzione. Sarebbe dovuto anzi essere introdotto molto tempo fa, si sarebbero risparmiati disagi e problemi per Spagna ed Italia ed anche la Grecia - il cui ammontare di debito è relativamente piccolo - sarebbe potuta essere tratta in salvo. Infine la BCE ha deciso di fare quello che tutte le altre banche centrali fanno, usare il proprio illimitato potere di fuoco per rendere irrealistico un attacco speculativo contro un debito sovrano.
Ma è veramente così, e qual'è il prezzo di questa scelta? In realtà il piano Draghi pone una forte condizionalità, gli Stati che decideranno di ricorrere all'aiuto della BCE saranno costretti a riforme economiche decise a Francoforte. Si tratta di un unicuum, nessuna banca centrale al mondo ha il potere di imporre le politiche al proprio stato, qui addirittura abbiamo una istituzione europea il proprio potere sugli stati membri - la sovranità non è più nelle mani del popolo ma dei banchieri centrali.
Una delle colonne del neo-liberismo negli ultimi 30 anni è stata l'indipendenza delle banche centrali, un concetto estremamente anti-democratico visto che questo semplicemente significa che mentre la politica fiscale è decisa dal Parlamento e quindi dagli elettori, la politca monetaria - l'altro bastione della politica economica - è decisa da un gruppo di tecnici senza nessun controllo politico. Per altro la Banca Centrale è un organismo non completamente pubblico nel cui consiglio di amministrazione siedono i principali banchieri privati. In sostanza si è privatizzata una parte fondamentale dell'attività di governo, a solo uso dei mercati. Ora non solo la BCE rimane indipendente, ma mette sotto controllo gli stati, riducendo Parlamenti - ed elezioni - ad una farsa. 

Monday 10 September 2012

Democrazia ed economia - 1: Napolitano e le elezioni

Ormai non si sa più cosa dire per commentare le parole del Presidente della Repubblica. Dovrebbe essere al suo posto per garantire la difesa della Costituzione, invece pare sempre più chiaro che siede al Quirinale per garantire un certo tipo di classe politica ed un certo tipo di scelte economiche.
Non ha battuto ciglio, anzi ha applaudito, quando si violentava la Carta con l'obbligo di pareggio di bilancio, legando mani e piedi a future maggioranze che non potranno, legittimamente, decidere di adottare una politica di deficit-spending, se così vorranno gli elettori.
Ancor peggio ha fatto nello scorso weekend, quando ha ammonito i partiti in vista delle prossime elezioni. Voi confrontatevi pure in campagna elettorale, ma ci sono comunque io a vigilare che gli impegni presi con l'Europa - fiscal compact, tagli, etc etc - vengano rispettati. E perchè mai? Se una maggioranza di elettori votasse per partiti contrari a questi provvedimenti, che autorità potrebbe mai avere Napolitano per impedire i cambiamenti? Ancor di più, se ci fosse un voto chiaro di uscita dall'Euro, Napolitano potrebbe usare tutta la sua moral suasion, ma dovrebbe rispettare i risultati elettorali. Perchè, almeno finora, la democrazia si basa su quel che decidono gli elettori, non su cosa vuole il Presidente della Repubblica, Monti o i mercati internazionali.
Non si tratta di un giudizio di merito su certe politiche - che sono comunque sbagliate - ma di un problema di metodo che nulla ha a che fare con la democrazia. Anzi, l'obiettivo pare proprio svuotare di qualsiasi contenuto prettamente politico le prossime elezioni, che dovrebbero essere consultazioni per approvare, comunque, l'operato della classe dirigente. Una sorta di elezioni sovietiche, come quelle cui si era abituato Napolitano da giovane.
Per fortuna questo orribile settennato sta finendo, speriamo con un normale semestre bianco e non con un golpe dello stesso colore.